sabato 17 ottobre 2009

Canto Terzo

Come l’aurora sorge tra i ghiacci,
fulgida, cristalli perenni luce
rifrange d’arcobaleni capricci,
così mi parve fatto, quando il duce
mio in cima alla scala giunse, l’antro.
Quanti gradini calcai non deduce
memoria, che chiocciola stretta dentro
la roccia seguimmo per ore; le volte
complesse, fin dalla cava di vetro,
osservai con orrore per le molte
pene che alle anime vengono imposte.
Del cero la fiamma accesa, alte
colonne di ghiaccio e stanze vaste
di colori inondavano lo spazio,
come farfalle d’estate le coste
di Angamor riempiono. Artifizio
di natura, per questi ambienti
spediti procedemmo senz’ozio,
che il gelo battere faceva i denti.
Curioso al volgere delle sale,
come gatto che esplora bastimenti
novelli, la fattura senza male
di quel luogo osservai da vicino;
narrare come posso del ferale
ambiente lo strazio che il destino
pose in cuor mio, Lhyra te invoco
a tenere la penna almeno sino
al concludere novella del loco!
Figura d’elfo colsi nella stele
di ghiaccio chiusa, occhi col fuoco
ancor vivo fissarono, fiele
stillante, la mia sagoma; subito
ritrassi d’un passo e come di tele
svelati i segreti, di kender cito
le forme, e orchetti, e nani in teche
cristalline scorsi. Per quale sito
giunsi non ricordo, di fronte a fosche
stanze fermai il mio fuggire, la guida
lasciata dietro alle sembianze losche;
come del vento il sussurrare fida
dei cantori, del lazzo e del deriso
viene fatto zimbello, così rida
chi alla mia verità si ponga inviso.
Di corpo umano la sostanza nota
pareva in quel blocco incompleto; liso
non sembrava dal tempo che ruota
senza sosta ed il volto dalla pena
sua resi libero: “Quale sorte immota
spinge un Dragone a venire sirena
di vita per l’alma di Federico
Squarcialupi? Dannato tu sei, lena
cerchi per le tue colpe? No, io dico,
vivo rimani che di corpo odore
l’aria assume.” Al cogliere aulico
del condottiero il nome, l’onore
ribelle ancora lo acclama, d’un tratto
mi trovai due passi indietro; dolore
non colsi su quell’uomo trafitto
dai veleni di Treon e il motivo
gli chiesi di questa tortura: “Atto
non feci, ne patto accettai vivo,
che per tale prigione mi condanni.
Nessun giudizio di reo viene privo
di prove, eppure emesse perenni
sentenze furono per molti. Come
giunsi in questo blocco non so, insonni
non fummo, fin quando il gelo nome
non prese. Questo solo inferno atroce,
pungente, io non osservai; quali some,
nel fuoco camminammo, qual croce
pesa la pena sulle nostre spalle;
quale motivo ti spinge alla foce
di questo corso?” Il lume di frolle
cangianti riempì la cava, fronte
faceva al buio con riflessi mille
e di Federico il quesito, errante,
rispose. Poi ratto riprese: “Breve
non è la tua via, pazzo incosciente,
che credi di ottenere? delle leve
degli Dei il vero non puoi sapere,
ne affrontare la loro ira. La neve
si scioglie in acqua per loro volere,
per loro capriccio si combattono
guerre; oltre quest’antro giacere
del fuoco, aspra pena, patrono,
ed ancora per il fumo noioso
dovrai passare; dell’acqua, non sono
certo, edotto già sei, e, curioso,
del ghiaccio la pena non sei ignaro.
Altro ho da dirti.” Giunse doloso
morso dal mio fido guardiano, raro
attacco a punire il mio andare solo:
“Attento, mortale, castigo amaro
ti spetta, da Rhas immortale.” Volo
non feci grande, del gatto la forma
seguendo dappresso, su cigolo
sospetto del pavimento, conferma
dell’ultimo dire appresi; spezzato
fu il ghiaccio che il peso poggiava orma,
e caddi nell’abisso senza fiato.

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