mercoledì 18 novembre 2009

Uno Strano Incontro

Il sole era un'enorme disco rosso che lentamente calava oltre l'orizzonte, ricoprendo la savana con la sua luce cremisi; i fuoristrada erano fermi sul bordo della strada sterrata per permettere al carico di turisti europei un momento mozzafiato da fermare con la mente e una macchina fotografica, prima di giungere al villaggio da 5 stelle sperduto nella natura africana che li avrebbe accolti per quei pochi giorni di vacanza, mentre intorno a loro la natura continuava a muoversi come se la loro presenza fosse insignificante... eppure non si sentiva tranquilla.
I conducenti si erano fermati vicino ad un numeroso clan di babbuini, alcuni dei quali gironzolavano attorno alle macchine con disinvoltura, quasi fossero elementi abituali del loro habitat, nonostante il pesante odore di gasolio e metallo che sicuramente i loro nasi captavano; si muovevano con calma, da padroni di quel lembo di terra, ficcando lo sguardo negli abitacoli e fiutando l'aria, scambiandosi ogni tanto un verso. Qualcosa li attirava sempre più vicini ai grandi mezzi, qualcosa che per loro doveva essere interessante.
Non le ci volle molto per capire a cosa le scimmie erano interessate: Il signor Schöll, un placido, tranquillo e cortese pensionato tedesco proveniente da Colonia, teneva di fronte a sé aperta una piccola scatola di biscotti al cioccolato, scatola che prontamente un giovane babbuino maschio aveva preso sotto gli occhi stupiti dell'anziano; ci volle un attimo prima che la bianca mano grassoccia scattasse verso le zampe scure che stringevano quel piccolo, goloso tesoro e lo strappassero con forza per restituirlo al legittimo proprietario: il babbuino, in tutta risposta, snudò le lunghe zanne in un minaccioso sorriso.


Non se lo era aspettato, non era previsto, di solito una volta mostrati i potenti canini, odoravano di paura, e cedevano qualsiasi cosa gli avessero conteso. Invece era stato colpito, in faccia, un colpo potente e deciso che l'aveva steso nella polvere; aveva avuto bisogno di qualche momento per riprendersi, il male al naso era forte e caldo, la rabbia incontenibile, quell'umano femmina lo aveva colpito e ora era lì in piedi di fronte a lui, impedendogli di raggiungere la fonte di quel profumo dolce, indizio di uno di quei cibi dolci che gli umani a volte portano con sé: non poteva permettere a quella fragile presenza di opporsi al suo desiderio, non poteva permetterle di umiliarlo di fronte a tante femmine e a tanti rivali, a tanti anziani che presto avrebbe battuto.


Il babbuino caricò a testa bassa urlando tutta la sua rabbia, inconscio di quello che lo aspettava: lo colpì di nuovo sul muso, proiettando la gamba destra avanti a lei con uno scatto, nel momento stesso in cui la scimmia balzò con l'intento di gettarla a terra; volò all'indietro per qualche metro prima di atterrare rovinosamente sul suolo polveroso.
Era eccitata. Quanto tempo era passato dall'ultima volta! L'adrenalina le scorreva in tutto il corpo come impazzita, respirava e assaporava a pieni polmoni quell'aria così carica di tensione, quella tensione che in tutti quegli anni le era mancata, di cui aveva odorato un surrogato solo nelle palestre di arti marziali che aveva frequentato per imparare e migliorarsi, in attesa di quel momento. Il suo avversario era ancora a terra, vivo, che si torceva dal dolore tenendosi il muso fracassato tra le mani; era soddisfatta dei suoi anfibi rinforzati, comprati ad un mercatino di rimesse dell'esercito. "Alzati! avanti, alzati!" pensò con furia, presa dall'inebriante gioia del combattimento "Alzati da terra e combatti! Bravo, così, carica ancora a testa bassa, assaltami, vieni a prenderle ancora!"


Il babbuino era di nuovo in piedi, gli occhi iniettati d'odio, il muso sanguinante gocciolava sulla pelliccia impolverata; ringhiò ancora mostrando tre affilati canini, prima di lanciarsi nuovamente all'attacco di quella donna che lo stava umiliando di fronte a tutto il clan; d'improvviso scartò di lato per poi balzarle addosso, per coglierla di sorpresa, ma lei fu rapida a spostarsi. Con il braccio sinistro lo cinse attorno al collo, bloccandogli la testa col corpo mentre rapidamente arretrava verso il portellone della jeep; sfruttando l'impeto della carica fece sbattere la bestia contro l'acciaio della grande macchina. Ci volle qualche momento prima che il babbuino, stordito, cadesse a terra sconfitto.  Ma la sua attenzione fu attratta da un'altra figura.


 - La prossima volta, chiedi per favore - sussurrò la donna all'orecchio dello sconfitto, mentre con delicatezza appoggiava un biscotto del signor Schöll sulle sue labbra; con calma si diresse verso l'ombra di un albero dove un vecchio babbuino stazionava con aria vacua: si sedette di fronte a lui e gli porse la scatola, da cui la scimmia prese un biscotto.
 - È forte, irruento, prepotente e stupido... mi ricorda qualcuno, per caso è uno dei tuoi figli? - disse la donna mentre il babbuino si mise in bocca il dolce - Come stai, Tre Zanne? Ti vedo in forma e a quanto pare hai fatto carriera - il babbuino sorrise, mostrando tre lunghi ed affilati canini, ed un quarto spezzato quasi alla radice.
 - Anche quel tuo figlio ora ne ha soltanto tre... prenderà il tuo posto, un giorno... lui come sta? C'è ancora? Se puoi, fagli sapere che sono tornata, in nome della nostra vecchia inimicizia -


Il babbuino prese un altro biscotto, prima che la donna si allontanasse richiamata ai fuoristrada dalle guide nere di rabbia per lo spettacolo proposto.

giovedì 5 novembre 2009

Canto Quinto

Quale strada era per me destinata?
Rispondere non saprei, che l’unica

corsa al mondo mortale era bloccata.
Ma del gatto la coda rivendica
la mia attenzione al nuovo ambiente,
che la fiamma del cero nemica

si pose all’ombre, vittoria mancante.
Mossi due passi e su scivolo liscio
caddi d’improvviso, che per levante
piegava in stretta curva; come fascio

che corre su ruscelli per giungere
alla legnaia, così parvi, straccio,

al fondo della scesa che tenere

dello stomaco il contenuto impresa
ardua rimase. Del corpo le sfere
riprese, con occhi sognanti, tesa

la mano per aiutare il compagno,

del nuovo antro visione fu presa:
alte colonne di fiamme, magno
splendore, sostenevano la volta

bruciante, ignei muri disegno

tortuoso all’arena, come folta

foresta, intrecciavano; di picchi,
massi e ceneri nere per sciolta

materia era formata, da fuochi

d’eterna durata, il territorio.
Come gran forno per d’argilla bricchi,
che mai spegnersi deve, desiderio
d’acqua induce al manovale costretto
alla sua bocca, così pressante rio
la corrente d’aria fece ratto
ricercare di questo inferno uscita.
Col custode tra le mie braccia stretto,
fiamme crepitare da fiorita
fessura d’uso era, per labirinto
ardente il cammino presi. Bandita
ogni memoria d’incendio, qual canto
di sirena d’affetto privo, pire
aggirando e corridoi, affranto,
seguendo per lunghi tratti, dire
non saprei quale breccia intrapresi
che colonna di penitenti l’ire
incrociai. Da grandi croci offesi
di acciaio rovente, che mai stempera
in questa fornace, su spalle pesi
opprimenti trascinano; libera
frusta schiocca su schiene nude,
dei pellegrini il passo alla lettera
comanda; degli aguzzini, per rude
violenza creati, le sembianze
non descrivo, che tali viste, crude,
al mio terrore abboccare di lenze,
come storione con alice s’inganna.
Volgendo gli occhi per cogliere assenze,
salvo fui dal loro nerbo, madonna
vidi, per poco non svenni, che fato
diverso credevo compiuto; zanna
di lupo e d’orso la mole fermato
giammai l’impeto della sua carica,
tale da sembrare dardo scagliato
al cuore del bersaglio, stoica
nel difendere dei clienti merci
e vita, dura maestra, pratica
d’ogni arma, occhi zaffiri, perderci
ancora notte volontà affiora.
Sorpresa colse lo spirito, torci
membra, volto sfigurato, d’allora
splendore ormai spento, senza parole
rimase al vedere forma logora
del suo fido scudiero: “Regole
infrangi? Leggi d’eterna fattura
rifiuti? Di così misera mole
è la croce che porti tra le mura
da non notarsi? No, vita circonda
la tua presenza e gioia matura
a vederti.” Nascosto tra la banda
dei dannati, tempo ebbi per parlare:
“Metà sei del percorso che discenda
alla foce del tutto; desiare
lumi coraggio dimostra, trappola,
temo, sarà fatta presto scattare.
Quante avventure, qual mera favola
abbiamo vissuto, le risa, ricordo,
dei tuoi canti buffi, mai parola
di scherno fu sì gradita, sguardo
attento rimembro nelle lezioni,

le notti…”. Come miele cola tardo
da alveo pieno, così brama visioni
d’allora porta e di salvare l’anima
sua a nuova vita, ma tali doni
dal guardiano non ottenni; prima

con basso miagolio, poi con morso
diniego diede. Svelato nella rima
della folla, da frusta colsi verso
sulla schiena; senza porre indugio
corsa feci del mio passo, che perso

ero se catturato. Con vantaggio
poco, dei demoni urti di filata
evasi, ratto per via torta, ligio,
di caverna attraversai l’entrata.