sabato 9 febbraio 2008

Una Notte di Pioggia

Mezzo chilo. Un altro mezzo chilo. Di certo non posso andare avanti così, con la bilancia che ogni maledetta volta segna il mio lento declino.
La pioggia cade copiosa dal cielo plumbeo che sovrasta la città in questa sera da lupi, ticchettando ritmicamente sui vetri delle mie finestre, gocce frequenti che rimbombano tra le sale di quest’appartamento deserto, creando la sensazione che sia molto più vuoto e desolato di quello che in effetti è; e la sensazione la vivi dentro di te, come se fosse un vampiro che ti stia succhiando le energie vitali direttamente dal cuore. Pochi secondi, le chiavi nelle mie mani, la porta di quelle stanze, di quelle casse armoniche per le gocce che cadono fitte, alle mie spalle, chiusa, mentre scendo le scale verso un’altra notte tra le braccia della mia migliore amante.
La città, come suo solito quando le nubi scaricano il loro contenuto su una terra riarsa dalla sete, sembra un’altra, quasi un fantasma rispetto alla trafficata e caotica selva di persone, macchine e animali che passano la maggior parte del tempo nei loro quotidiani tragitti ad insultarsi, a prendersi in giro, a vociare per una frenata brusca o per un incedere troppo lento sulla loro strada, con l’acqua che cala copiosa sono in pochi a intraprendere le vie e i corsi, e lei respira e si mostra con un aspetto seducente e ingannatore; quanti ricordi, quante notti come questa ho passato camminando per le strette vie del centro, mal illuminate da lampioni funzionanti solo per caso, lontano dai fulgidi neon dei night e delle pubblicità in cima agli alti palazzi, fermandomi a chiaccherare con l’occasionale barbone che tentava, invano, di dormire qualche ora prima di dover mollare la sua panchina ad adolescenti coppie con vestiti peggio conciati dei sui stracci.
Quanta gente hai rovinato, quanta ne hai ridotta a vivere di rifiuti e case di cartone, tu che ad ogni angolo sei capace di offrire qualsiasi tipo di svago e divertimento, che ammicchi a chiunque venga da fuori e poco ti conosce per quella che sei, promettendogli comodità e successo, facendo credere quasi che tutto è più semplice, tutto è a portata di mano, basta allungare le braccia e aprire le proprie palme per toccare quanto di meglio ci sia al mondo, e poi, spietata, sveli l’illusione che hai creato e ti mostri per quella che sei: un’ingorda, una famelica Salomè che abbraccia con voluttà le proprie vittime prima di farle sparire, per sempre, tra le proprie braccia; ho ancora in testa quella prima notte, eri affascinante e travolgente, ovunque era un’occasione per divertirsi, per ridere, per provare piaceri e lussi sempre diversi, io con gli occhi di un bambino al luna park, sempre pronto a gettarmi dentro le nuove attrazioni che mi si paravano di fronte. Quanto ti ho amato quella notte, quanto mi hai dato di te, facendoti poi scoprire con la luce dell’aurora che piano piano s’arrampicava tra i tuoi palazzi più belli, mostrandoli sotto una luce che sono in pochi a vedere, e che spesso ho voluto rivedere.
I semafori lampeggiano, la radio sputa fuori canzoni come se non ci fosse un domani, col volume abbastanza alto da coprire il tamburellare delle gocce sulle lamiere di quel vecchio catorcio che mi accompagna da troppo tempo, ogni tanto incrocio una macchina, sparata a tutta velocità sui grandi viali, come se correndo all’impazzata si possa sfuggire alla tua perfidia; ho fame, ma non posso fermarmi ad un chiosco, uno di quelli che ospiti ogni notte permettendo a chi vuole un rapido spuntino fatto di grassi, non posso permetterti di distruggermi ancora, di portarmi un altro passo verso il baratro, di ingoiarmi per soddisfare la tua, di fame; eppure ancora adesso ti amo, un’altra come te non l’ho trovata, negli anni, che più mi coccolasse, solo con te ho toccato le più alte vette della realizzazione umana, solo con te ho potuto dire “sono felice”; quante volte ti ho decantato la tua bellezza, la tua freschezza, il tuo essere giovane, a volte ribelle e tu ne eri appagata, sorridente e gioiosa ogni volta a sentire le mie parole, almeno fino a quando non hai trovato qualcun’altro su cui puntare, a cui mostrare quanto si potesse ottenere, abbandonandomi al mio destino, cacciandomi da quel podio che mi sono guadagnato con tanto sudore. Ma non sono ancora vinto, c’è ancora qualche possibilità che io torni ai miei fausti giorni, nonostante il tuo disprezzo, la tua non-curanza, e non sarai tu a portarmi a quella vetta, non lo farai una seconda volta, per te io non sono altro che un giocattolo vecchio ed usato.
Il motore della macchina che per anni mi ha scarrozzato per le tue arterie, d’improvviso si spegne, la lancetta dell’indicatore ben oltre la tacchetta che indica un serbatoio completamente proscugato, distratto come sono non ho badato al carburante e adesso non mi rimane che abbandonare il vecchio catorcio e cercare un distributore, con in tasca abbastanza denaro per un pompino e sei giorni di indigenza, un digiuno che si protrae ormai da mesi e che finirà per straziarmi, in attesa di una chiamata che potrebbe riportarmi alla vita e non a questa mera pantomima; le tue nuove luminarie con le loro luci ambrate ad avvolgerti qui non sono giunte, i lampioni illuminano a intermittenza il grande viale dove mi trovo, in fondo alla strada un cartello che sotto questa pioggia incessante sembra un miraggio, il percorso un bazar di tentazioni e pericoli: occhi impauriti sotto ombrellini da borsetta e vestiti succinti a mostrare la mercanzia, figure nell’ombra che ti sussurrano di mondi nuovi ad un prezzo ridicolo, che ti chiedono se vuoi qualcosa, se hai qualcosa, che ti invitano a giocare con loro il tuo futuro attraverso la lama di un coltello; il tuo lato sporco, quello che non vuoi far vedere ma che ti porti appresso sempre, quello che copri con la tua rispettabilità, i grandi progetti, le grandi idee, quello che usi più spesso per saziare il tuo famelico appetito di dissoluzione, di vergogna, di distruzione, quello che scopri dopo aver visto lo splendore e la magnificenza della tua altra faccia: puttana, mi hai trascinato senza sosta, senza pausa per le tue strade non accorgendomi di essere agli ultimi sgoccioli di benzina, lontano da casa, ebbro ancora una volta della sensazione di dominarti, di averti mia e solo per me; che stupido che sono, nonostante ti conosca bene ancora ci casco, ancora mi illudo di poterti avere, anche se solo per una notte.
Punto forte, non saranno i miei pochi spiccioli a cambiargli la via, mentre a me servono dannatamente, dato che non ho altre risorse, ma il tuo burattino trascinato dai suoi animaleschi bisogni conosce meglio il gioco, ci sa fare e non impiega molto a privarmi della posta in palio; se ne va poco soddisfatto, mentre io continuo a scorrere assieme ai rigagnoli verso la più vicina pozzanghera, le gocce cadono irrefrenabili e senza alcuna pietà, l’aria che d’improvviso si riempie di un suono assordante e di una intermittenza blu e arancio, prima che tutto diventi un piccolo, inutile, insignificante dettaglio.

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