giovedì 14 febbraio 2008

L'Approdo

Inesorabile, ancora una volta il sole sorge illuminando fin dall’orizzonte l’infinita, calma distesa d’acqua sulla quale la mia piccola barchetta galleggia da tempo. Ho perso il conto dei giorni, dei mesi che ho passato su questa distesa azzurra che senza fine si propaga per tutta la superficie su cui il mio occhio può stendere il suo sguardo, fino al punto in cui l’oceano e il cielo si fondono in un’unica sfumatura azzurrina, senza poter cogliere un’irregolarità, una protuberanza, un qualsiasi segno che mi indichi la presenza di qualcosa di diverso dal piattume che mi circonda, un misero lembo di terra verso cui fare rotta, verso cui spingermi per poter toccare con i piedi e le mani qualcosa di solido, di diverso dall’acqua salmastra.
Senza nemmeno uno sputo di vento a sospingermi, resto in balia delle onde, scrutando la linea piatta dell’orizzonte alla ricerca di una qualsiasi irregolarità che possa indicarmi una rotta, una direzione, una speranza di trovare un’insenatura dove finalmente approdare per ristorarmi, per rifocillarmi, con la tenue speranza di un colpo di fortuna e di giungere, finalmente, ad un porto ben attrezzato per fermarmi ed abbandonare questa vita da naufrago e viaggiatore solitario, per lasciare questa barchetta che dopo mesi di peripezie ancora resta a galla, nonostante le vele stracciate, lo scafo segnato, danneggiato, riparato alla bell’e meglio, l’albero scheggiato e profondamente segnato dalle tempeste affrontate: fedele quasi come un cane non mi ha mai abbandonato, decretando così la mia fine, e tutt’ora mi mantiene vivo e asciutto, anche se non so quanto ancora possa reggere, non so se sarà in grado di affrontare un’altra tempesta.
La rossa sfumatura dell’alba è mutata nella brillante luce del mattino, il sole comincia il suo frenetico lavoro sulla mia pelle ramata da settimane di esposizione: dovrei coprirmi, ma il mio sguardo è puntato su qualcosa che lievemente emerge dalla linea piatta, irraggiungibile; potrebbe essere qualsiasi cosa, un’altra nave alla ricerca di un porto, una spiaggia con quattro palme in croce, la lontana, lontanissima scogliera di un continente, troppo lontano per giudicare, ma è sufficiente per muovere lievemente il timone e prendere una direzione, nella speranza che si alzi una bava di brezza a sospingermi attraverso ciò che resta delle mie vele; potrebbe essere un’illusione, un miraggio, con questo caldo e il sole che ti picchia in testa senza tregua da giorni non è impossibile che i tuoi occhi s’ingannino e scambino un semplice riflesso dell’Oceano stagliato sull’azzurro cielo per un qualcosa di più tangibile e solido: eppure non c’è alternativa, è sempre meglio essere ingannati da un miraggio e dirigersi verso di lui che rimanere totalmente fermi nel mezzo di un mare piatto senza una sola prospettiva verso cui puntare.
Le ore passano lente mentre quello che è solo un lieve alito d’aria comincia a soffiare di traverso, permettendomi di acquisire un minimo di velocità e di poter puntare su quello che sempre più assomiglia alla sottile linea di una costa; chissà dove sono? Chissà se quella linea di terra che vedo è solo una piccola isola disabitata oppure si tratta della costa di un grande continente, con città e grandi porti dove poter attraccare? Chissà se sarà possibile fermarmi per sempre, o almeno potermi riposare un po’ sulla terra ferma, per poi riprendere la navigazione in cerca di una terra dove dimorare per il resto dei miei giorni, con una barca rimessa a nuovo? Chissà se dovrò ancora affrontare una tempesta prima di giungere a quel lembo che spunta dall’orizzonte... dato che ogni volta, ogni maledetta volta, da che ho cominciato la mia solitaria crociera, abbia intravisto una costa, un porto, un’insenatura, sono sempre stato travolto dalla furia degli elementi e dopo ore e giorni a combattere contro i marosi e la pioggia battente, allo spuntare del sole, mi ritrovavo a fissare la piatta distesa perdersi fino al suo confine, portato fuori rotta, quasi come se facessi parte di una commedia assurda, una di quelle situazioni brechtiane dalla quale non c’è via di scampo.
La mia meta si staglia sempre più netta, seppur lontana molte miglia, là in fondo al mio campo visivo, il vento soffia sempre leggero, ma in un lento crescendo che mi riempie di paura; non oso guardare altri punti che non siano la scura linea davanti a me, so che voltando lo sguardo su un altro orizzonte troverei minacciose nubi scure, cariche di pioggia e violenza, che non aspettano altro se non di travolgermi con la loro furia; potrei ritirarmi sotto coperta e lasciare la tempesta scatenarsi, magari con un po’ di fortuna non vengo sbalzato in un’altra direzione, perdendo quella flebile traccia per una svolta, anche temporanea, alla mia esistenza, potrei accettare passivamente la furia della pioggia battente sul mio corpo pregando che il vento e le onde non mi spostino troppo dalla mia rotta, che mi lascino comunque in vista di quella lontana, lontanissima costa, potrei non affrontare spavaldamente gli elementi che finora mi sono stati avversi: ma non si può permettere che siano gli eventi a decidere del proprio futuro, sono troppo stanco, troppo logoro per poter permettere all’ennesima tempesta di sviarmi dalla mia sola e unica speranza di salvezza, seppur effimera, seppur ingannatrice.
Con lo sguardo fisso verso quel punto dell’orizzonte approdo per la mia salvezza, affronto il mare che s’ingrossa in onde sempre più violente, mentre le nubi nere coprono il sole del tardo pomeriggio annunciando una fredda accoglienza fatta di pioggia srosciante: tutto quello che devo fare è mantenere saldo il timone e cavalcare il vento fattosi forte, pregando che lo scafo, segnato e mal ridotto, non ceda di schianto alla violenza della tempesta; il rollio diventa insistente e forte, le gocce d’acqua cadono pesantemente sul mio corpo come se non ci fosse un domani, inzuppandomi fino nel midollo mentre le onde s’infrangono sulla chiglia della mia barchetta con la violenza di un titano, quella piccola irregolarità scorta al mattino è ora coperta dalla tempesta, il vento impetuoso mi spinge sempre più forte, sbattendomi da mille direzioni diverse, cercando di strapparmi dai comandi che saldamente mantengo sulla stessa direzione intrapresa ore fa; la barca cigola, si lamenta straziante nel legno che subisce la furia delle onde implacabili sempre più grosse, sempre più minacciose, le vele forzate dal vento si lacerano in altri punti, un fulmine colpisce l’albero, facendo sprizzare scintille e spezzoni ovunque, qualcosa di pesante e umido mi colpisce alla testa, il dolore si fa intenso, ma non mollo il timone, puntando il mio sguardo pieno di puntini luccicanti verso un obbiettivo invisibile ma che so di fronte a me, qualcosa alle mie spalle cede con uno schiocco sinistro... forse una cima, logora, non ha retto alla sforzo di mantenere fisso qualche cosa, la randa oscilla velocemente, libera viene sbattuta dal vento avanti e indietro, avanti e indietro, velocemente, sempre più velocemente, un colpo d’una violenza inaudita mi atterra, i miei sensi vacillano, il buio mi avvince nel suo gelido abbraccio...



Inesorabile, ancora una volta il sole sorge illuminando fin dall’orizzonte l’infinita, calma distesa d’acqua sulla quale la mia piccola barchetta galleggia da tempo.

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