Quale strada era per me destinata? Rispondere non saprei, che l’unica corsa al mondo mortale era bloccata. Ma del gatto la coda rivendica la mia attenzione al nuovo ambiente, che la fiamma del cero nemica si pose all’ombre, vittoria mancante. Mossi due passi e su scivolo liscio caddi d’improvviso, che per levante piegava in stretta curva; come fascio che corre su ruscelli per giungere alla legnaia, così parvi, straccio, al fondo della scesa che tenere dello stomaco il contenuto impresa ardua rimase. Del corpo le sfere riprese, con occhi sognanti, tesa la mano per aiutare il compagno, del nuovo antro visione fu presa: alte colonne di fiamme, magno splendore, sostenevano la volta bruciante, ignei muri disegno tortuoso all’arena, come folta foresta, intrecciavano; di picchi, massi e ceneri nere per sciolta materia era formata, da fuochi d’eterna durata, il territorio. Come gran forno per d’argilla bricchi, che mai spegnersi deve, desiderio d’acqua induce al manovale costretto alla sua bocca, così pressante rio la corrente d’aria fece ratto ricercare di questo inferno uscita. Col custode tra le mie braccia stretto, fiamme crepitare da fiorita fessura d’uso era, per labirinto ardente il cammino presi. Bandita ogni memoria d’incendio, qual canto di sirena d’affetto privo, pire aggirando e corridoi, affranto, seguendo per lunghi tratti, dire non saprei quale breccia intrapresi che colonna di penitenti l’ire incrociai. Da grandi croci offesi di acciaio rovente, che mai stempera in questa fornace, su spalle pesi opprimenti trascinano; libera frusta schiocca su schiene nude, dei pellegrini il passo alla lettera comanda; degli aguzzini, per rude violenza creati, le sembianze | non descrivo, che tali viste, crude, al mio terrore abboccare di lenze, come storione con alice s’inganna. Volgendo gli occhi per cogliere assenze, salvo fui dal loro nerbo, madonna vidi, per poco non svenni, che fato diverso credevo compiuto; zanna di lupo e d’orso la mole fermato giammai l’impeto della sua carica, tale da sembrare dardo scagliato al cuore del bersaglio, stoica nel difendere dei clienti merci e vita, dura maestra, pratica d’ogni arma, occhi zaffiri, perderci ancora notte volontà affiora. Sorpresa colse lo spirito, torci membra, volto sfigurato, d’allora splendore ormai spento, senza parole rimase al vedere forma logora del suo fido scudiero: “Regole infrangi? Leggi d’eterna fattura rifiuti? Di così misera mole è la croce che porti tra le mura da non notarsi? No, vita circonda la tua presenza e gioia matura a vederti.” Nascosto tra la banda dei dannati, tempo ebbi per parlare: “Metà sei del percorso che discenda alla foce del tutto; desiare lumi coraggio dimostra, trappola, temo, sarà fatta presto scattare. Quante avventure, qual mera favola abbiamo vissuto, le risa, ricordo, dei tuoi canti buffi, mai parola di scherno fu sì gradita, sguardo attento rimembro nelle lezioni, le notti…”. Come miele cola tardo da alveo pieno, così brama visioni d’allora porta e di salvare l’anima sua a nuova vita, ma tali doni dal guardiano non ottenni; prima con basso miagolio, poi con morso diniego diede. Svelato nella rima della folla, da frusta colsi verso sulla schiena; senza porre indugio corsa feci del mio passo, che perso ero se catturato. Con vantaggio poco, dei demoni urti di filata evasi, ratto per via torta, ligio, di caverna attraversai l’entrata. |
RACCONTI SCRITTI IN PUNTA DI DITA, SCORRENDO COME IL PAESAGGIO A BORDO DI UN TRENO
giovedì 5 novembre 2009
Canto Quinto
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